Pentedaktylos, ovvero “cinque dita”. Con i suoi cinque strani pinnacoli, sembra davvero una gigantesca mano la roccia di arenaria che sovrasta il borgo(m 320, frazione di Melito Porto Salvo), uno dei più caratteristici e suggestivi della Calabria dal punto di vista paesaggistico ed urbanistico, mirabile esempio dell’adattamento dell’insediamento alla natura del terreno. Aggrappato al declivio di una rupe rossastra (Monte Calvario) con straordinario effetto scenografico, è un labirinto di stradine, tetti, case in pietra con archi e balconi, ridotto ad una sorta di “paese fantasma” per il trasferimento dei suoi abitanti nei recenti quartieri sorti più a valle o per aver emigrato altrove alla ricerca di miglior fortune.
Ma oggi si possono riconoscere i segnali di una nuova attenzione per questo singolare insieme di roccia ed architetture spontanee, e del desiderio di preservare questa irripetibile realtà. Le attività che mettono in atto il tentativo di scongiurare i pericoli dell’abbandono e dell’incuria sono l’apertura di botteghe e l’ospitalità diffusa.
LA STORIA
La storia di questo borgo è antica: probabilmente l’insediamento risale, anche se non se ne hanno testimonianze certe, alla Magna Grecia, e il paese rimane per molti secoli un importante snodo di collegamento tra il mare, con il grande polo di Reggio Calabria, e le montagne dell’Aspromonte. Terra difficile, ostile per gli umani, il borgo inizia a subìre un lento spopolamento già sul finire del ’700, quando un potente terremoto lo danneggiò. Viene poi ufficialmente abbandonato all’inizio degli anni ’70, quando gli ultimi abitanti sono costretti a trasferirsi a valle per ragioni di sicurezza.
Di sicura origine bizantina, il piccolo centro fiorì nei secoli XIII-XIV e divenne in seguito feudo degli Alberti, che lo tennero fino al 1865. Nella parte più alta del paese sono i resti del castello, di fondazione medievale ma rifatto nel XVI secolo.
LA LEGGENDA
Paese fantasma, dunque; ma anche paese di fantasmi. Si narra infatti che, verso la fine del ’600, il borgo fu teatro di un truce dramma, che vide protagoniste due famiglie nobili del luogo, gli Alberti e gli Abenavoli. Bernardino Abenavoli, signore di Montebello Jonico, un paese vicino, era profondamente innamorato della giovane Antonietta Alberti, figlia dei marchesi di Pentedattilo; ma quando questa venne data in sposa, per ragioni politiche, a don Pedrillo Cortez, figlio del consigliere del Viceré di Napoli, Bernardino decise di vendicarsi del dolore e dell’onta subìti. Introdottosi, con il favore della notte, nel palazzo nobile di Pentedattilo, uccise quasi tutta la famiglia Alberti e portò via con sé l’amata Antonietta, che sposò – pur contro il volere di lei – pochi giorni dopo.
La vicenda è rimasta a lungo impressa nella memoria collettiva, dando vita a numerose leggende: secondo alcuni, quando il vento si insinua tra le dita di roccia del gigante, si possono ancora udire i gemiti degli uccisi che reclamano vendetta. L’atmosfera del luogo, in effetti, solletica facilmente la fantasia: nel suo lungo declino, il paese è rimasto pressoché inalterato, conservando un’aura di affascinante mistero.